Ci sono immagini che registriamo inconsciamente, con la precisione di una macchina fotografica, e quando in séguito riaffiorano alla memoria ci scervelliamo per ricordare dove le abbiamo viste.
Da anni Maigret aveva l'abitudine di fermarsi qualche secondo a riprendere fiato in cima alle scale ripide e polverose della Polizia giudiziaria. Ormai non se ne rendeva più conto e, automaticamente, il suo sguardo si dirigeva verso la sala d'aspetto, una gabbia a vetri che alcuni chiamavano l'«acquario» e altri il «Purgatorio». Probabilmente non era l'unico a comportarsi così. Un tic professionale? Forse.
Anche quando, come quel mattino, Parigi era illuminata da un sole limpido e radioso che metteva allegria e faceva brillare i comignoli rosa dei tetti, nel Purgatorio, che era senza finestre e prendeva luce solo dal corridoio, c'era sempre una lampada accesa.
A volte le poltrone e le sedie di velluto verde erano occupate da tipi dall'aria poco raccomandabile, vecchie conoscenze che un ispettore aveva pescato durante la notte e che aspettavano di essere interrogate, oppure da informatori o testimoni che avevano ricevuto la convocazione il giorno prima e che alzavano la testa con aria triste ogni volta che qualcuno passava.
Quella mattina nel Purgatorio c'era solo un uomo, e Maigret notò che era del genere che comunemente viene definito «faccia da topo». Era piuttosto magro, con la fronte sfuggente, contornata da pochi ciuffi rossastri.